giovedì 3 dicembre 2009

CONDANNA PER L'INFERMIERE CHE SI RIFIUTA DI PULIRE IL PAZIENTE

CONDANNA PER L’INFERMIERE CHE SI RIFIUTA DI PULIRE IL PAZIENTE

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di una infermiera generica per il reato di cuiall’art. 328 c.p. (rifiuto di atti d’ufficio), in quanto la stessa si sarebbe rifiutata di procedere alle
operazioni di pulizia di un degente sottoposto ad intervento di resezione colica, il cui letto e le parti intime erano imbrattate con le feci fuoriuscite dalla sacca di contenimento.
Le operazioni di pulizia, come ribadisce la Suprema Corte, rientrano nelle tipiche mansioni degliinfermieri generici.
Il Giudice di Legittimità ha inoltre confermato l’interdizione dell’infermiera dai pubblici uffici per un anno, nonché il risarcimento del danno in favore della parte offesa.

CORTE DI CASSAZIONE
(Sezione VI penale Sent. n. 39486/2006)

In fattoRicorre personalmente per Cassazione l’imputata, che deduce con un primo motivo la errata interpretazione dell’articolo 6 Dpr 225/74 in relazione all’articolo 328 Cp. La predetta norma stabilisce che l’infermiere generico coadiuva l’infermiere professionale in tutte le sue attività e provvede direttamente a varie mansioni, tra cui la raccolta degli escreti dei pazienti, previa prescrizione del medico.
Nella specie la situazione clinica del B. era piuttosto delicata, dato che il medesimo aveva subito unintervento chirurgico di laparotomia esplorativa e resezione colica, e nella specie si trattava di effettuare il riposizionamento della sacca di raccolta degli escreti, proprio a seguito di un errato posizionamento della stessa ad opera di un infermiere professionale.
Non rileva che, stando alla sentenza impugnata, in quel turno non erano presenti infermieri professionali, perché ciò poteva dipendere da una dimenticanza di chi aveva predisposto i turni di servizio e in ogni caso non valeva a sovvertire le regole sulle mansioni attribuite agli infermieri generici.
Inoltre in quel momento l’imputata era impegnata nell’attività di distribuzione del vitto, e il ritardo addebitatole è consistito in soli 30 minuti. Nessuna specifica valutazione sulla urgenza era stata effettuata dal giudice di appello.
Con un secondo motivo, si denuncia la violazione dell’articolo 328 Cp in relazione all’articolo 47 comma 3 Cp: anche ammettendo che l’imputata avesse errato nel ritenere non urgente l’atto, avrebbe dovuto essere affermato che, in considerazione del breve ritardo e della mansione nellaquale la C. era in quel momento impegnata, si era nella specie trattato di un errore scusabile.


In diritto
Il ricorso appare infondato.
Va osservato in primo luogo che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l’interventorichiesto alla infermiera C. Maria era stato sollecitato da D. L. Claudio, genero del degente B.
2
Giovanni, perché la stessa provvedesse a operazioni di pulizia sul corpo del congiunto, dato che le
parti intime di questo e lo stesso letto erano imbrattati con feci fuoriuscite dalla sacca di
contenimento posizionata dopo una operazione di chirurgia addominale.
La C. aveva rifiutato di provvedere a quanto richiesto, affermando che aveva vergogna di pulire le
parti intime di una persona di sesso maschile e si era allontanata dal reparto per circa mezz’ora.
È su questa sola condotta che cade l’imputazione e si fonda l’affermazione di responsabilità penale.
I giudici di merito hanno infatti osservato che il rifiuto dell’imputata di provvedere prontamente alle
operazioni di pulizia delle parti intime del paziente in ragione della differenza di sesso era palesemente ingiustificato, e che tale incombenza rivestiva carattere di urgenza per evidenti ragioni di igiene e sanità.
E’ vero che nella sentenza impugnata si mette in rilievo che, successivamente a tale rifiuto, dopo che il D. L.aveva deciso di provvedere lui stesso alla pulizia del suocero e, riscontrando che la fuoriuscita degli escreti dalla sacca derivava da un non corretto posizionamento della stessa, aveva inutilmente suonato il campanello per circa venti minuti, per sollecitare nuovamente l’intervento del
personale infermieristico, senza ottenere alcun risultato; ma la ritenuta colpevolezza dell’imputata non attiene a questo ulteriore sviluppo dei fatti.
Risulta dunque incongrua, rispetto al decisum, l’osservazione della ricorrente secondo cui l’operazione di riposizionamento della sacca non rientrava nelle sue mansioni essendo di esclusiva pertinenza di un medico o di un infermiere professionale; e ciò a prescindere dalla considerazione che anche quest’ultima era una operazione di normale routine e di facilissima esecuzione, come
dichiarato dal teste dott. G.C., direttore medico del predetto ospedale.
Non è dubbio, poi, che le operazioni di pulizia del paziente rientrano nelle tipiche mansioni degli infermieri generici. Infatti, a norma dell’articolo 6 Dpr 225/74, l’infermiere generico, su prescrizione del medico, provvede direttamente, tra l’altro, alle operazioni di pulizia del paziente (n.
1) e alla raccolta degli escreti (n. 2).
La ricorrente obietta che nella specie non vi era stata alcuna prescrizione specifica del medico circa la pulizia del paziente. Ma la disposizione ora citata non implica, né letteralmente né logicamente,che la prescrizione del medico avvenga necessariamente di volta in volta per ogni intervento da effettuarsi sui pazienti, ben potendo essa essere impartita in via generale e sulla base di turni di
servizio, come nella specie verificatosi.
Infatti, come messo in risalto dai giudici di merito, il dott.G.C. ha dichiarato che le operazioni di pulizia dei pazienti, di norma svolte in collaborazione tra l’infermiere professionale e l’infermiere generico, dovevano in quella circostanza, stante l’assenza in reparto di un infermiere professionale,
essere svolte dal solo infermiere generico addetto al reparto, sulla base di quanto previsto dai turni di servizio; e che solo con riferimento a interventi di tipo terapeutico occorreva una specifica prescrizione del medico.
Come già osservato dalla Corte di appello, la circostanza addotta dall’imputata, l’essere in quel momento essa impegnata nell’attività di distribuzione del vitto, non era affatto ostativa alla
immediata effettuazione dell’operazione di pulizia del paziente, che rivestiva un carattere di urgenza per evidenti ragioni igienico - sanitarie, trattandosi di un paziente da poco operatoall’addome, imbrattato di escreti fecali.

Vale del resto la considerazione espressa al riguardo dal dott. G.C., secondo cui la predetta incombenza aveva priorità rispetto alla distribuzione del vitto, che ben poteva essere sospesa per i pochi minuti necessari per la pulizia del paziente, ed essere subito dopo ripresa con ogni garanzia igienica.
Quanto alla doglianza circa la mancata considerazione dell’errore scusabile in punto di urgenza dell’atto, essa appare, oltre che generica, manifestamente infondata, sia perché il rifiuto espresso dall’imputata non atteneva a questo aspetto, ma all’inammissibile pretesa inconciliabilità tra la prestazione richiesta e la differenza di sesso, sia perché il riconoscimento del carattere di urgenza
dell’atto implicava una valutazione strettamente collegata alle ordinarie competenze professionali della C., che aveva quindi tutti i necessari elementi di cognizione per non cadere in un simile errore.
Al rigetto del ricorso consegue a norma dell’articolo 616 Cpp la condanna della ricorrente alpagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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